Il sistema educativo
infantile si avvale della pedagogia familiare come strumento
fondamentale per la costruzione di un forte legame collaborativo tra
educatori e genitori, specie se si tratta di genitori con bambini
speciali. Tale disciplina si occupa di sostenere i genitori nel loro
compito educativo verso i figli; difatti il rapporto tra bambino e
genitori risulta, nella maggior parte dei casi, inscindibile; per
questo motivo nel momento in cui l'educatore accoglie un bambino
speciale all'interno del nido, deve saper accogliere anche la sua
famiglia, deve quindi lavorare sia sul bambino in difficoltà che sui
disagi che tale situazione comporta all'interno della famiglia.
Il compito degli
educatori si focalizza principalmente nei confronti dei cosiddetti
eventi paranormativi, che colpiscono improvvisamente la famiglia e il
loro bambino; tali situazioni negative, devono essere superate
mediante un approccio promozionale.
Il lavoro educativo,
in questo caso, consiste nel ricercare all'interno della famiglia le
risorse per affrontare e superare al meglio le difficoltà del
bambino, che corrispondono anche a quelle della famiglia e che
l'educatore deve conoscere molto bene.
Per poter conoscere
a fondo un bambino, si necessita non solo delle proprie capacità
professionali ma anche di quelle possedute dal genitore; per questo
motivo, si deve instaurare con esso un approccio sistematico
relazionale, confrontando il comportamento, le abitudini e le
esigenze del bambino al nido e a casa, al fine di raggiungere
un'immagine globale ed esaustiva del piccolo, dalla quale poi, ideare
un progetto educativo specifico.
Il nido, oltre a
proteggere il bambino e la sua famiglia da numerosi fattori di
rischio, che potrebbero aggravare la situazione già compromessa del
bambino, hanno il compito di creare e attivare occasioni e
possibilità di crescita familiare. Tale obiettivo si realizza
mediante l'autodeterminazione (enabling) e l'appropriazione
(empawerment).
Nel primo caso,
attraverso l'autodeterminazione, il professionista educativo cerca di
far sviluppare alla famiglia il proprio potenziale educativo e le
modalità con cui realizzarlo nella realtà quotidiana; in altri
termini l'educatore aiuta i genitori a prendere le scelte più giuste
per se stessi e per il proprio figlio, con responsabilità.
Mentre nel secondo
caso (empawerment) l'educatore aiuta la famiglia, indicandole quel
qualcosa di positivo e generativo che il genitore non crede di
possedere, spronandolo a reagire in base alle proprie capacità.
Un nido
responsabile, deve essere consapevole dell'importanza del
principio di equifinalità: ovvero che famiglie diverse con
problematiche simili (es. due famiglie con entrambe un bambino
autistico) non raggiungono medesimi risultati, perché affrontano il
problema con un approccio familiare diverso; l'educatore, quindi,
deve affrontare ogni situazione problematica in maniera diversa,
adattandosi allo stile familiare dei genitori.
La pedagogia della
famiglia aiuta l'operatore educativo a sostenere i genitori con
l'obiettivo di mobilitare in loro il giusto potenziale educativo;
tale processo viene definito come partenariato.
Esso rappresenta un
modello di relazione asimmetrico nel quale la famiglia e il nido
costruiscono un rapporto alla pari, dove il nido riconosce alla
famiglia la competenza genitoriale, mentre la famiglia riconosce alla
struttura la competenza assistenziale ed educativa.
Il nido aiuta la
famiglia, in particolare i genitori, ad inserirsi nella rete sociale,
uscendo da un contesto d'isolamento e stabilendo legami di fiducia
con l'ambiente sociale, al fine di trovare risposte efficaci ai loro
bisogni genitoriali e a riflettere sui propri valori, modelli e
pratiche in materia di educazione.
La famiglia, nel
contempo, mediante la propria conoscenza personale ed affettiva del
bambino può aiutare il team di educatori a conoscere a fondo il
bambino nella sua autenticità, cogliendo i suoi punti di forza e di
debolezza.
Nella relazione di
partenariato i soggetti coinvolti hanno dunque ruoli ben definiti e
complementari, ma entrambi sono considerati alla pari, con saperi e
competenze interdipendenti, al fine di raggiungere un comune
obiettivo: la co-educazione del bambino e la formulazione di un
intervento educativo adeguato ed efficace.
In presenza di
bambini e famiglie speciali, l'intervento educativo deve farsi ancor
più delicato e responsabile; delicato perché si tratta di
situazioni particolari e complesse che richiedono tatto ed empatia da
parte dell'educatore, responsabile perché egli deve essere
consapevole del ruolo importante che riveste e della sua
professionalità, la quale, deve favorire lo sviluppo della
resilienza, come primo passo per una nuova rinascita del bambino e
dei suoi genitori.
La resilienza
è la capacità di adattarsi ad avversità, traumi o tragedie che
possono verificarsi nei confronti di chiunque. In altre parole: la
capacità di vivere e svilupparsi positivamente nonostante l'aver
vissuto situazioni o momenti tragici, che normalmente implicano un
esito negativo.
Il difficile compito
dell'educatore è quello di comprendere, ma soprattutto aiutare il
bambino e la famiglia a superare il trauma che li ha travolti.
Tale capacità si
sviluppa a partire da fattori protettivi tipici della crescita, che
l'educatore deve saper potenziare nel bambino. Essi sono:
- Fattori individuali (abilità e capacità personali, autostima)
- Fattori familiari (attaccamento ai valori familiari, clima affettuoso)
- Fattori ambientali/sociali ( rete sociale, insegnanti ed educatori)
La resilienza è
favorita al nido d'infanzia mediante strategie d'ascolto e parola che
aiutano il bambino a narrare la propria storia, attraverso una
presenza solida, stabile e duratura dell'educatore che dona sicurezza
e incoraggia lo sviluppo dei fattori protettivi, con l'obiettivo di
favorire la ripresa del bambino da un trauma, un disagio o una
difficoltà.
Anche i familiari
del bambino devono essere sostenuti e aiutati a sviluppare un
approccio positivo; molte volte, infatti, sono proprio i genitori a
necessitare maggiormente di tale capacità, in particolar modo se i
loro fattori protettivi risultano deteriorati dal tempo.
Per questo motivo
gli educatori puntano allo sviluppo della genitorialità, come
strumento positivo per favorire una rapida ripresa delle funzioni
genitoriali, atte a favorire lo sviluppo armonico e completo del
bambino e della famiglia stessa.
Difatti, se i
genitori sono partecipi al lavoro educativo del nido e vengono
considerati come fonti preziose di informazioni e di supporto, allora
risulta molto più semplice per l'educatore impostare un processo
educativo realmente produttivo per il bambino speciale, a lui
affidato.
Molti studi hanno
dimostrato che quando i genitori sono coinvolti come partecipanti
attivi di un progetto educativo, il progetto stesso ha maggior
successo. Al contrario, senza un sufficiente coinvolgimento della
famiglia, ogni effetto dell'intervento educativo rischia di essere di
breve durata.
Compito della
struttura educativa è quello di tenere costantemente informati i
genitori, riguardo i progressi o le eventuali difficoltà dei figli,
solo così il familiare si sentirà partecipe al programma
d'intervento individualizzato del bambino e affiancherà gli
educatori nella loro missione educativa.
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