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IL RUOLO DELL'EDUCATORE

Tale figura professionale richiede una grande responsabilità nei confronti dei propri utenti; essa si realizza attraverso una costante attenzione verso tutto ciò che genera, produce o contribuisce a produrre: la nuova generazione. Per questo motivo, favorisce uno sviluppo educativo in maniera equilibrata ed armonica, che valorizzi sia il soggetto nella sua realtà che ha bisogno di protezione e aiuto, sia il soggetto culturale, che per diventare tale, deve fare esperienza di autonomia.
Quando una realtà si distanzia dagli standard sociali, tende ad essere emarginata assieme ai suoi protagonisti; al nido d'infanzia, al contrario, queste realtà complesse vengono affrontate attraverso la competenza professionale dell'educatore, che può far riemergere una famiglia e il proprio bambino da una situazione problematica.
Nel momento in cui in una famiglia arriva un figlio che presenta evidenti difficoltà, le problematiche pedagogico/educative intrafamiliari si accentuano macroscopicamente.
Per i genitori è importante sentire che qualcuno comprenda la loro angoscia e i loro sentimenti negativi e che si prenda carico di questa situazione complessa, ricavandone opportunità positive per tutti i soggetti coinvolti.
L'educatore per sostenere i familiari e il bambino deve instaurare con essi una relazione d'aiuto efficace; essa si fonda sul sostegno e l'aiuto di soggetti bisognosi e in situazioni complesse, presupponendo in questi, il loro poter essere migliori in una dimensione temporale futura.
L'obiettivo di una relazione d'aiuto oltre ad essere di tipo assistenziale è anche di tipo relazionale; si punta alla costruzione di una relazione solida e duratura, in cui non è solo l'educatore che aiuta il soggetto, ma è anche il soggetto che da valore ed importanza a ciò che si realizza. Tale relazione è vista all'apparenza come un tipico rapporto tra disuguali, ma che in realtà viene attuato proprio per trasformarsi in rapporto d'uguaglianza.
Perché tale condizione si realizzi, innanzitutto chi presta aiuto non deve approfittare del bisogno continuo della persona in difficoltà, assumendo il ruolo di salvatore. A mio avviso, questo tipo di atteggiamento si presenta caratteristico di molti genitori, i quali, costantemente, considerano il loro piccolo bisognoso di cure, rendendolo poco responsabile della sua condizione e del tutto esente da ruoli attivi. Da ciò deriva l'enorme problema dell'identità delle persone disabili.
Un'altra condizione essenziale che deve verificarsi è la sospensione del giudizio; l'educatore non può giudicare il proprio bambino come incapace a realizzarsi e quindi palesemente sconfitto dalle proprie difficoltà, anzi, deve promuovere costantemente un modello evolutivo personalizzato.
Chi viene aiutato inoltre non può, a causa del suo deficit, assumere un ruolo del tutto statico, al contrario deve misurarsi nel ruolo di collaboratore e contribuire al suo stesso miglioramento; questo atteggiamento deve essere favorito soprattutto nei confronti dei bambini, che devono essere coinvolti empaticamente nella propria relazione di cura, favorendo in loro un atteggiamento responsabile ed egualitario nei confronti di chi li assiste.
Tali atteggiamenti, a mio avviso, costituiscono i principi basilari per una buona relazione d'aiuto, assicurando al meglio lo sviluppo fisico, psichico e relazionale del bambino all'interno del suo nucleo familiare e del più ampio contesto sociale, che è il nido.
Come si è precedentemente affermato, non si può intervenire solo ed esclusivamente nei confronti del bambino disagiato, ma anche sulla coppia genitoriale, detentrice del sapere “genuino” e punto di riferimento indiscusso del figlio.
Una delle missioni più importanti e nel contempo difficili dell'educazione è proprio quella di alleare educatori, professionisti e genitori a considerare il disagio o la disabilità come una “soglia” che deve essere superata, attuando insieme un pensiero che poi si realizzi in progetto evoluzionistico nei confronti del bambino. Occorre, quindi, sostenere primariamente i genitori nella cura e nella scoperta del problema del figlio, cercando di sviluppare in essi la capacità di reagire positivamente alle avversità, a tollerare il non-sapere, ponendo fiducia e rispetto nei confronti dei professionisti.
Innanzitutto l'educatore deve aiutare madre e padre a riacquistare le proprie forze e a ridisegnare la propria storia familiare; una componente strategica utile per riadattare la propria vita nei confronti del figlio in difficoltà è creare un'alleanza di coppia. Molte volte, se ciò non avviene, i genitori rimasti soli nel proprio dolore, rischiano di non riconoscere il figlio per ciò che è veramente, innescando altrettante difficoltà.
A mio parere, alcuni educatori, in situazioni tali non si permettono di “entrare” nella vita e nel privato doloroso di queste famiglie, non tanto per una questione di timore ma soprattutto di rispetto; da un lato condivido questo comportamento non invasivo, ma dall'altro mi rendo conto che nonostante un possibile inizio traballante, è decisamente utile creare una relazione di sostegno e fiducia reciproca tra educatori, professionisti e famiglia, favorendo un clima collaborativo atto a migliorare la vita familiare e nel contempo ad incentivare una serena permanenza del bambino e della sua famiglia al nido.
In queste situazioni problematiche, l'educatore si avvale della mediazione come strumento efficace per risolvere possibili conflitti.
Per fare ciò, egli deve essere in grado di riconoscerli, accettarli e soprattutto gestirli, cercando di far uscire il soggetto da una situazione conflittuale, favorendo il passaggio da un atteggiamento statico a uno dinamico e creativamente partecipativo.
Un altro compito dell'educatore è quello di saper sottolineare il positivo, ovvero di saper riconoscere e lodare il bambino quando opportuno; tale comportamento viene definito come feedback positivo, poiché l'insegnante invia al proprio educando una risposta di conferma per ciò che ha fatto, motivandolo a continuare in quella direzione.
Un'altra competenza è quella di saper ridimensionare, soprattutto nei confronti dei bambini in difficoltà; consiste nel saper sdrammatizzare una situazione di disagio che si viene a creare a causa del bambino, tale comportamento serve ad alleggerire esperienze di insuccesso o momenti di ansia che potrebbero limitare lo sviluppo del bambino e incoraggiare quest'ultimo a tentare di nuovo.
L'arte d 'incoraggiare è compito dell'educatore, il quale prende in esame le risorse del bambino e il modo in cui vengono utilizzate, con l'obiettivo di migliorarne la sua condizione generale.
Bisogna innanzitutto sviluppare nel soggetto l'accettazione di se stessi, ovvero riconoscere realmente la propria persona con pregi e difetti, puntando quindi sulle capacità, prerequisito fondamentale per potersi sentire utili nella relazione con gli altri o nel gruppo sociale, mediante lo sviluppo di motivazioni interne e personali.
Numerose sono le strategie di incoraggiamento che vengono utilizzate dagli educatori, ciò è dovuto dal fatto che ogni bambino è diverso e richiede una particolare spinta per superare un ostacolo, che ai suoi occhi risulta invalicabile.
Molti si avvalgono del dialogo e in particolare dell'ascolto attivo come mezzo per sostenere il bambino durante il suo percorso in salita, concentrandosi sugli aspetti positivi e sull'accettazione di possibili momenti d'incertezza; di estrema utilità è il coinvolgimento affettivo, soprattutto con i più piccoli, i quali, grazie all'amore dell'educatore si sentono più protetti ed incoraggiati.
L'incoraggiamento è un processo che si realizza nel momento in cui un soggetto è senza speranze e non crede alle proprie capacità; colui che incoraggia deve essere determinato a risollevare la persona in difficoltà per favorire il suo successo, è quindi un atto di altruismo che chiunque può fare.
Naturalmente, al nido tale processo risulta più complesso, in particolare se si tratta di genitori in difficoltà, nei quali le motivazioni interne e l'autostima sono del tutto spente; in questo caso, gli educatori per poterli incoraggiare dovranno mettere in atto una molteplicità di strategie per ridare forza e voglia di riscatto.
L'educatore per poter essere definito come un professionista dell'educazione deve quindi possedere una molteplicità di conoscenze e competenze, sia professionali che personali, le quali si consolidano durante il momento stesso in cui vengono utilizzate, questo processo determina una continua evoluzione di tale professione, la quale non può realizzarsi solo mediante una buona prassi educativa, ma soprattutto attraverso la sua realizzazione concreta.
È significativo chiedersi di quale educatore abbia bisogno una struttura educativa orientata all'integrazione di bambini speciali e quali conoscenze e competenze sono richieste a tutti gli insegnanti per svolgere un ruolo così delicato.
L'educatore deve essere un protagonista attivo del processo formativo, per questo motivo deve possedere una mentalità progettuale e dinamica, per costruire programmi di studio ragionati e per sviluppare opportune situazioni di apprendimento, in relazione all'età degli allievi, alle loro caratteristiche (a volte molto speciali) e al contesto in cui si opera.
L'educatore si caratterizza come professionista specializzato, quando risulta una persona di valore che possiede una formazione educativa basata sul possesso di specifiche conoscenze, competenze metodologiche e di abilità personali di tipo comunicativo e osservativo, necessarie per favorire e gestire adeguatamente le relazioni interpersonali.
L'ambito delle conoscenze si riferisce a quelle relative allo sviluppo e all'apprendimento, che di fatto caratterizzano il DNA di ogni insegnante e quelle specifiche, riferite alle tipologie di deficit e alle strategie della didattica speciale.
Venendo all'ambito delle competenze, queste possono essere inquadrate in quattro categorie di abilità, che caratterizzano l'educatore di qualità:
  • abilità personali
  • abilità di programmazione didattica
  • abilità di conduzione dell'insegnamento
  • abilità relazionali
Alla prima categoria fanno riferimento quelle abilità che si riferiscono alla persona prima ancora che all'educatore. In questa prima area di abilità vanno comprese anche quella di affrontare positivamente i problemi e di assumere decisioni pertinenti di fronte alle situazioni, spesso molto complesse, che si determinano nella prassi didattica riferita ad allievi con bisogni speciali.
Va sottolineata l'esigenza che l'educatore possieda forti dosi di autocontrollo, per poter affrontare contesti potenzialmente stressanti senza scaricare ansia e aggressività nelle relazioni interpersonali.
La seconda categoria di abilità riguarda la competenza nella programmazione didattica, che è stata affrontata pienamente nel terzo capitolo; si tratta di un percorso flessibile e articolato, che può svilupparsi in modi diversi in relazione a variabili connesse all'età dei bambini, ai deficit, ai contenuti da proporre, al contesto, ecc.
Il terzo livello di abilità si riferisce alla capacità di creare un clima adeguato per l'apprendimento, di organizzare e gestire gli spazi e i tempi, di favorire momenti di osservazione e valutazione e di adattare il progetto didattico in relazione ad essi.
La quarta area si focalizza sulla relazione e in particolare sulle competenze comunicative necessarie per la relazione con gli allievi, con i colleghi, con i familiari, con gli specialisti e con le altre figure che interagiscono nell'ambiente scolastico.
In conclusione, la professione educativa è estremamente impegnativa e necessita, per essere svolta in maniera adeguata, di una solida formazione, di una consolidata esperienza e di una capacità di riflettere costantemente sul proprio operato; solo così sarà possibile svolgere un lavoro educativo di qualità con impegno e professionalità, affrontando con serenità e determinazione qualsiasi tipo di realtà la vita presenti.







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