giovedì

I SEGNI DI DISAGIO PIù COMUNI AL NIDO D'INFANZIA

Il disagio infantile può presentarsi in diverse situazioni e in diversi momenti della vita del nido; difatti esso può realizzarsi nel momento dell'entrata o dell'uscita dalla scuola oppure nel momento delle attività, o della routine quotidiana, come addirittura nel gioco libero. Per questo motivo i segni di disagio sono stati suddivisi in base alla situazione in cui si generano.
I primi che si andranno ad analizzare, avvengono durante i cosiddetti momenti istituzionali, legati in particolare al momento di entrata ed uscita del bambino dalla struttura educativa. Tali situazioni determinano difficoltà da parte dei bambini e dei genitori nella separazione, soprattutto se il processo d' attaccamento tra genitore e figlio è molto forte. Ciò può generare nel bambino modalità particolari per esprimere, nascondere o negare la propria sofferenza, che deve essere individuata con rapidità.
Difficoltà di separazione dai familiari e di entrata all'asilo nido
L'inserimento è sempre un momento difficile per il bambino e per la sua famiglia, esso rappresenta il primo distacco ufficiale dal proprio nido familiare per poter partecipare alla vita sociale che lo circonda, composta da altri adulti e coetanei.
È naturale, che nel primo periodo di inserimento i bambini provino dispiacere e tristezza nel separarsi dai propri genitori, ma esso si identifica come un reale disagio nel momento in cui il bambino dopo un tempo molto prolungato dalla separazione continui a piangere e a rimanere fra le braccia dell'educatore opponendosi completamente allo svolgimento delle attività proposte; nel caso infatti l'educatore non riesca a consolarlo e le sue proposte di gioco non vengano minimamente accettate allora si parla di reale disagio da distacco parentale.
Per poter superare questo momento difficile l'educatore deve armarsi di calma, pazienza, costanza, e soprattutto di tempo, grazie a quest'ultimo egli potrà aiutare il bambino a conoscere il nido e coloro che lo vivono, favorendo sempre più un graduale inserimento senza traumi.
Molte volte la difficoltà sta nel convincere i genitori a separarsi dai propri figli e non il contrario, questo avviene spesso con genitori alla prima esperienza al nido, che quindi non sono preparati a questo momento difficile del distacco; è utile perciò favorire dei momenti di incontro e parola per aiutare e sostenere le famiglie a favorire una naturale separazione senza traumi da entrambe le parti.

Attraversamento iperattivo o blocco motorio
Sempre durante il momento d'entrata al nido, possono verificarsi altre tipologie di disagio come ad esempio l'attraversamento iperattivo o il blocco motorio.
Nel primo, il bambino si precipita dentro lo spazio del nido schizzando in giro con il rischio di farsi male o di fare male a qualcuno; questo comportamento che apparentemente potrebbe essere frainteso come desiderio di iniziare la giornata al nido o di incontrare i compagni, in realtà rappresenta un forte disagio legato alla elaborazione psichica della separazione.
Sembrerebbe che il movimento, lo spazio e il corpo nel loro iperinvestimento abbiano lo scopo di negare la sofferenza più che di attualizzarla e incarnarla.”4
Si tratta di un meccanismo di difesa molto comune anche nel mondo adulto, è il classico darsi da fare per mascherare l'incapacità di stare all'interno di un certo contesto o per nascondere una difficoltà.
Compito del professionista educativo è quello di riceverlo all'interno di una struttura accogliente che aiuterà il bambino a sentirsi a proprio agio.
Il blocco motorio, invece, rappresenta la reazione opposta all'iperattività; in questo caso il bambino reagisce alla separazione dai caregivers familiari attraverso un blocco fisico per non sentire alcun dolore.
Il bambino o la bambina resta immobile, bloccato/a nel corpo o nell'espressione, finché qualcuno non si occupa di lui/lei.
Anche in questo caso è l'adulto che deve intervenire con decisione e prontezza.
Rifiuto del cibo
Per quanto riguarda il rifiuto del cibo non si tratta di inappetenza o difficoltà nel mangiare autonomamente, in questo caso s'intende un rifiuto evidente, totale e sofferto dell'atto del mangiare in sé.
In primo luogo l'educatore non deve agitarsi di fronte al rifiuto del bambino, come spesso fanno le madri, perché il rifiuto non riguarda lui a livello personale, ma il ruolo professionale che incarna.
Utilizzando le sue difese istituzionali il nido dovrà fare da schermo all'invasione di tali ansie, in modo che il piccolo possa, attraverso la presenza dell'insegnante, sperimentare delle modalità relazionali diverse durante il pasto.”5
Difficoltà nell'utilizzo del bagno
Con questa difficoltà non si vuole intendere l'eventuale ritardo riguardo all'autonomia del controllo sfinterico, ma piuttosto ai momenti di sofferenza, angoscia o paura che alcuni bambini possono manifestare soprattutto al momento della defecazione.
Le ragioni di tale crisi d'angoscia possono essere di diversa origine; possono essere la conseguenza di dolore provocato da momenti di stitichezza, i quali poi sono aggravati dalla paura, con a volte la complicazione relazionale quando la madre è costretta a manovre invasive (supposte, clisteri).
Sono momenti importanti che vanno rispettati e osservati con attenzione, poiché rappresentano le basi strutturali dell'autonomia del bambino. L'educatore può intervenire attraverso il gioco, strumento utile per allontanare il disagio fisiologico.
Ricongiungimento molto difficoltoso
Nel momento di conclusione della giornata al nido, vi è il ricongiungimento tra il bambino e il suo caregiver, ma spesso tale ritrovo non avviene nel migliore dei modi. Infatti il bambino non si precipita subito tra le braccia del genitore, anzi manifesta una sorta di fastidio o indifferenza.
Ciò avviene perché il piccolo ha difficoltà nel riconoscere contemporaneamente due figure di attaccamento (quella della madre e del padre a casa e quella dell'educatore al nido); difatti dopo parecchio tempo trascorso al nido, il bambino automatizza la figura dell'educatore come punto di riferimento, per questo motivo nel momento del ricongiungimento parentale, egli ha difficoltà nel riconoscere subito e nuovamente la figura della madre o del padre come primaria.
L'educatore deve innanzitutto rassicurare i genitori, che molte volte sono sconfortati da questo atteggiamento, e riconsegnare nelle loro mani il figlio, che gradualmente li riconoscerà come figure primarie e affettive.
Altre tipologie di disagio si manifestano durante la didattica, ovvero nel momento delle attività proposte dagli educatori.
Rifiuto della consegna
La negazione del bambino rispetto ad una consegna proposta dall'educatore, riguarda il rifiuto del bambino nei confronti della relazione con l'adulto; equivale ad un “no” al legame che si realizza attraverso la consegna didattica.
Questo rifiuto, a volte, viene utilizzato dai più piccoli anche come strategia contraria: restare con l'adulto e non allontanarsi da esso. In questo ultimo caso, è vivo nel bambino il timore di allontanarsi dal suo caregiver per eseguire l'attività, e quindi rischiare di perdere il suo punto di riferimento.
A volte questi comportamenti sono momentanei e transitori, il consiglio in questo caso è di far vivere al bambino l'uscita dal contatto corporeo dell'adulto attraverso il movimento senso-corporeo, per avvicinarsi all'esecuzione della consegna o dell'attività con serenità.
Difficoltà di tipo motorio e linguistico
La maturazione della funzione motoria e linguistica sono due delle aree maggiormente osservate e valutate dagli educatori del nido, poiché corrispondono a due delle principali funzioni dello sviluppo infantile.
Nel momento in cui gli educatori intravedono una forte impossibilità di movimento nei confronti del bambino o competenze linguistiche molto deficitarie, è necessario suggerire ai familiari un controllo specialistico per chiarirne le cause.
Il movimento oltre ad essere funzionale allo spostamento, viene utilizzato molto, in particolare dai più piccoli, come uno strumento di relazione; attraverso i movimenti corporei il bambino comunica con gli altri , è utile per questo motivo svolgere con i più piccoli giochi e attività di espressione corporea.
In seguito si sviluppano le abilità linguistiche, anch'esse devono essere sostenute attraverso attività mirate per favorire un graduale e armonico sviluppo.
Gli ultimi disagi che affronteremo riguardano i momenti cosiddetti “liberi”, nei quali la presenza dell'educatrice è più distante e la natura dell'autonomia del bambino è più viva.
Il livello e la qualità del gioco libero riveleranno allora quanto il bambino sarà autonomo o quanto invece sarà “perso” perché ora non è più contenuto dalla presenza organizzante dell'adulto”6
Il bambino che si “perde” all'interno del suo stesso gioco è un bambino che inevitabilmente possiede un disagio. I più comuni sono: il gioco disorganizzato e l'inibizione.
Gioco disorganizzato
Riguarda tutte le difficoltà che derivano dalla perdita di senso del gioco iniziato. La perdita di senso, a questa età, può dipendere da tanti fattori, sia di tipo emotivo (eccesso di emozioni) sia di tipo evolutivo (garantire al gioco un senso logico).
La strategia più utilizzata in questo caso è quella d'aiuto, che implica una maggiore vicinanza dell'adulto al gioco del bambino, con l'obiettivo di far ritrovare ad esso la capacità di giocare liberamente senza intoppi.

Inibizioni
L'inibizione consiste in un blocco che impedisce al bambino di giocare o svolgere qualsiasi altro tipo di attività; tale inibizione può essere determinata da cause diverse, che vanno ad intaccare l'interdizione di diverse forme espressive come la parola o il movimento.
Spesso l'adulto utilizza la strategia del “tifoso” che incoraggia, ma nei casi di reale disagio, tale comportamento può essere addirittura controproducente (il bambino si sentirà al centro della situazione e avrà un blocco ancor più evidente).
La strategia d'aiuto, ancora una volta, deve concentrarsi sulla capacità dell'adulto di prestare e offrire al bambino ciò di cui ha bisogno, mediante l'offerta di atti psichici positivi.
Per atti psichici positivi si intendono tutti quegli atti pratici (emozioni, azioni, parole, movimenti, oggetti, organizzazioni spazio-temporali ecc.) che hanno il potere di rimettere in moto i meccanismi del gioco che risultano bloccati.”7


4Nicolodi G., Angeli F., Il disagio educativo al nido e alla scuola dell'infanzia,Bologna, Franco Angeli, 2012, p. 75
5Nicolodi G., Angeli F., Il disagio educativo al nido e alla scuola dell'infanzia,Bologna, Franco Angeli, 2012, p. 81
6Nicolodi G., Angeli F., Il disagio educativo al nido e alla scuola dell'infanzia,Bologna, Franco Angeli, 2012, p. 167
7Nicolodi G., Angeli F., Il disagio educativo al nido e alla scuola dell'infanzia,Bologna, Franco Angeli, 2012, p. 128

IL DISAGIO DEL BAMBINO AL NIDO D'INFANZIA

Le strutture educative sono sempre più competenti nell'accoglienza e nell'integrazione di bambini diversamente abili, resi tali da malattie di ordine fisico, sensoriale, mentale, sociale o psicologico; ma oggigiorno, sempre più spesso, si trovano impegnate a far fronte al fenomeno del disagio infantile.
Le differenze tra la situazione di malattia e quella di disagio appaiono molto nette. Mentre l'una è di chiara origine clinica e riguarda la specificità della malattia, l'altro colpisce soprattutto l'aspetto psicologico ed emotivo e riguarda la sofferenza indotta da cause diverse: fisiche, psicologiche o sociali.
Le forme di disagio nella prima infanzia si presentano in modo subdolo [] Si tratta di bambini che si presentano sani sotto l'aspetto medico, con livello intellettivo frequentemente nella norma, ma con dei vistosi e inquietanti sintomi a livello comportamentale e relazionale che risultano spesso di difficili comprensione [] proprio a livello personale e relazionale, oltre che essere compromettenti per le normali attività didattiche del gruppo di bambini.”1
Il disagio si presenta dannoso non solo per il bambino che ne soffre, ma anche per coloro che lo circondano: coetanei, genitori ed educatori. In effetti, la principale caratteristica del disagio di un bambino, sopratutto in età molto tenera, consiste nel creare una situazione di sofferenza nell'adulto che lo riceve.
Un bambino aggressivo, taciturno o che rifiuta le consegne didattiche, crea una situazione di rigetto e di insofferenza in chi lo riceve professionalmente; difatti un educatore, difronte ad un bambino che sta male, sta male a sua volta; ciò rappresenta il frutto di una reazione normale e comprensibile. Ma ciò che rende diverso un comune adulto da un educatore, sta proprio nella capacità di superare questo sentimento di malessere e attivare un piano strategico, per aiutare il bambino a superare il proprio disagio interno.
L'asilo nido è professionalmente pronto a saper ricevere il disagio infantile, ad occuparsi di bambini e famiglie in difficoltà, individuandone spesso le cause e riuscendo, con il tempo, ad attenuare i loro problemi.
Tale insieme di capacità costituisce la Pedagogia dell'accoglienza, la quale non è da intendere nel significato negativo del subire l'arrivo inaspettato di un piccolo in difficoltà, ma come un insieme di competenze educative, professionali e personali, che hanno come obiettivo il “prendersi cura” del bambino e del suo disagio a trecentosessanta gradi.
[...]Pedagogia dell'accoglienza vuol dire lavorare in primo luogo sul disagio educativo, vuol dire far diventare competenti gli adulti e le istituzioni educative a saper ricevere i problemi dei bambini senza sentirsi a disagio di fronte a essi. Ciò, a lungo termine, ha un'incidenza positiva sullo stesso disagio infantile.”2


1Nicolodi G., Angeli F., Il disagio educativo al nido e alla scuola dell'infanzia,Bologna, Franco Angeli, 2012, p. 19-20
2Nicolodi G., Angeli F., Il disagio educativo al nido e alla scuola dell'infanzia,Bologna, Franco Angeli, 2012, p. 37

L'IMPORTANZA DELL'EDUCAZIONE FAMILIARE

Il sistema educativo infantile si avvale della pedagogia familiare come strumento fondamentale per la costruzione di un forte legame collaborativo tra educatori e genitori, specie se si tratta di genitori con bambini speciali. Tale disciplina si occupa di sostenere i genitori nel loro compito educativo verso i figli; difatti il rapporto tra bambino e genitori risulta, nella maggior parte dei casi, inscindibile; per questo motivo nel momento in cui l'educatore accoglie un bambino speciale all'interno del nido, deve saper accogliere anche la sua famiglia, deve quindi lavorare sia sul bambino in difficoltà che sui disagi che tale situazione comporta all'interno della famiglia.
Il compito degli educatori si focalizza principalmente nei confronti dei cosiddetti eventi paranormativi, che colpiscono improvvisamente la famiglia e il loro bambino; tali situazioni negative, devono essere superate mediante un approccio promozionale.
Il lavoro educativo, in questo caso, consiste nel ricercare all'interno della famiglia le risorse per affrontare e superare al meglio le difficoltà del bambino, che corrispondono anche a quelle della famiglia e che l'educatore deve conoscere molto bene.
Per poter conoscere a fondo un bambino, si necessita non solo delle proprie capacità professionali ma anche di quelle possedute dal genitore; per questo motivo, si deve instaurare con esso un approccio sistematico relazionale, confrontando il comportamento, le abitudini e le esigenze del bambino al nido e a casa, al fine di raggiungere un'immagine globale ed esaustiva del piccolo, dalla quale poi, ideare un progetto educativo specifico.
Il nido, oltre a proteggere il bambino e la sua famiglia da numerosi fattori di rischio, che potrebbero aggravare la situazione già compromessa del bambino, hanno il compito di creare e attivare occasioni e possibilità di crescita familiare. Tale obiettivo si realizza mediante l'autodeterminazione (enabling) e l'appropriazione (empawerment).
Nel primo caso, attraverso l'autodeterminazione, il professionista educativo cerca di far sviluppare alla famiglia il proprio potenziale educativo e le modalità con cui realizzarlo nella realtà quotidiana; in altri termini l'educatore aiuta i genitori a prendere le scelte più giuste per se stessi e per il proprio figlio, con responsabilità.
Mentre nel secondo caso (empawerment) l'educatore aiuta la famiglia, indicandole quel qualcosa di positivo e generativo che il genitore non crede di possedere, spronandolo a reagire in base alle proprie capacità.
Un nido responsabile, deve essere consapevole dell'importanza del principio di equifinalità: ovvero che famiglie diverse con problematiche simili (es. due famiglie con entrambe un bambino autistico) non raggiungono medesimi risultati, perché affrontano il problema con un approccio familiare diverso; l'educatore, quindi, deve affrontare ogni situazione problematica in maniera diversa, adattandosi allo stile familiare dei genitori.
La pedagogia della famiglia aiuta l'operatore educativo a sostenere i genitori con l'obiettivo di mobilitare in loro il giusto potenziale educativo; tale processo viene definito come partenariato.
Esso rappresenta un modello di relazione asimmetrico nel quale la famiglia e il nido costruiscono un rapporto alla pari, dove il nido riconosce alla famiglia la competenza genitoriale, mentre la famiglia riconosce alla struttura la competenza assistenziale ed educativa.
Il nido aiuta la famiglia, in particolare i genitori, ad inserirsi nella rete sociale, uscendo da un contesto d'isolamento e stabilendo legami di fiducia con l'ambiente sociale, al fine di trovare risposte efficaci ai loro bisogni genitoriali e a riflettere sui propri valori, modelli e pratiche in materia di educazione.
La famiglia, nel contempo, mediante la propria conoscenza personale ed affettiva del bambino può aiutare il team di educatori a conoscere a fondo il bambino nella sua autenticità, cogliendo i suoi punti di forza e di debolezza.
Nella relazione di partenariato i soggetti coinvolti hanno dunque ruoli ben definiti e complementari, ma entrambi sono considerati alla pari, con saperi e competenze interdipendenti, al fine di raggiungere un comune obiettivo: la co-educazione del bambino e la formulazione di un intervento educativo adeguato ed efficace.
In presenza di bambini e famiglie speciali, l'intervento educativo deve farsi ancor più delicato e responsabile; delicato perché si tratta di situazioni particolari e complesse che richiedono tatto ed empatia da parte dell'educatore, responsabile perché egli deve essere consapevole del ruolo importante che riveste e della sua professionalità, la quale, deve favorire lo sviluppo della resilienza, come primo passo per una nuova rinascita del bambino e dei suoi genitori.
La resilienza è la capacità di adattarsi ad avversità, traumi o tragedie che possono verificarsi nei confronti di chiunque. In altre parole: la capacità di vivere e svilupparsi positivamente nonostante l'aver vissuto situazioni o momenti tragici, che normalmente implicano un esito negativo.
Il difficile compito dell'educatore è quello di comprendere, ma soprattutto aiutare il bambino e la famiglia a superare il trauma che li ha travolti.
Tale capacità si sviluppa a partire da fattori protettivi tipici della crescita, che l'educatore deve saper potenziare nel bambino. Essi sono:
  • Fattori individuali (abilità e capacità personali, autostima)
  • Fattori familiari (attaccamento ai valori familiari, clima affettuoso)
  • Fattori ambientali/sociali ( rete sociale, insegnanti ed educatori)
La resilienza è favorita al nido d'infanzia mediante strategie d'ascolto e parola che aiutano il bambino a narrare la propria storia, attraverso una presenza solida, stabile e duratura dell'educatore che dona sicurezza e incoraggia lo sviluppo dei fattori protettivi, con l'obiettivo di favorire la ripresa del bambino da un trauma, un disagio o una difficoltà.
Anche i familiari del bambino devono essere sostenuti e aiutati a sviluppare un approccio positivo; molte volte, infatti, sono proprio i genitori a necessitare maggiormente di tale capacità, in particolar modo se i loro fattori protettivi risultano deteriorati dal tempo.
Per questo motivo gli educatori puntano allo sviluppo della genitorialità, come strumento positivo per favorire una rapida ripresa delle funzioni genitoriali, atte a favorire lo sviluppo armonico e completo del bambino e della famiglia stessa.
Difatti, se i genitori sono partecipi al lavoro educativo del nido e vengono considerati come fonti preziose di informazioni e di supporto, allora risulta molto più semplice per l'educatore impostare un processo educativo realmente produttivo per il bambino speciale, a lui affidato.
Molti studi hanno dimostrato che quando i genitori sono coinvolti come partecipanti attivi di un progetto educativo, il progetto stesso ha maggior successo. Al contrario, senza un sufficiente coinvolgimento della famiglia, ogni effetto dell'intervento educativo rischia di essere di breve durata.
Compito della struttura educativa è quello di tenere costantemente informati i genitori, riguardo i progressi o le eventuali difficoltà dei figli, solo così il familiare si sentirà partecipe al programma d'intervento individualizzato del bambino e affiancherà gli educatori nella loro missione educativa.

PER UNA INTEGRAZIONE DI QUALITA'

Il termine qualità accostato al concetto di educazione, risulta ancora oggi per molte persone come un binomio incomprensibile; difatti la qualità, solitamente, si rifà ad un prodotto aziendale e non ad un contesto educativo.
La verifica della qualità, avviata a livello aziendale, si è dimostrata una strategia efficace per ottenere miglioramenti nella produttività, nella competitività e nella qualità della vita. Queste caratteristiche ne fanno un modello interessante non solo per le aziende, ma per qualsiasi tipo di struttura, quindi anche per il nido.
Controllare la qualità al nido significa spostare l'attenzione dalla semplice verifica del servizio erogato per concentrarla sull'organizzazione e sui processi che stanno a monte del servizio stesso, riducendo al minimo i difetti e i disservizi e assicurando la piena soddisfazione degli utenti.
[] Lavorare per una scuola inclusiva, in grado di integrare le differenze, significa operare per migliorare la struttura educativa nel suo complesso.”1
Una scuola attenta alle esigenze di chi manifesta delle diversità, risulta una scuola sicuramente attrezzata, sia in ambito pedagogico che didattico, per rispondere alle richieste di intervento personalizzato ed inclusivo; tali capacità si rivelano come un fattore di forte miglioramento del servizio scolastico non solo per i bambini in difficoltà ma per tutti; per questo motivo tali strutture vengono riconosciute di qualità.
Ma come si effettua il controllo della qualità dell'integrazione?
Ci si avvale di indicatori specifici, che servono a monitorare i campi d'azione attui a favorire l'integrazione, per poter individuare e modificare, se necessario, eventuali errori o lacune.
Tali indicatori sono:
  • istituzionali e strutturali (risorse umane, strutture, attrezzature e sussidi)
  • organizzativi e procedurali (flessibilità organizzativa, procedure per
    l'integrazione, coordinamento scuola-famiglia/scuola-enti territoriali)
  • di costo (fondi e spese per l'integrazione)
  • di soddisfazione (qualità percepita)
Di estrema importanza al nido è la qualità percepita, che rappresenta il grado di soddisfazione manifestato dai genitori e familiari dei bambini che usufruiscono del servizio; è un indicatore di grande rilevanza per la determinazione del livello di qualità totale del nido.
In concreto si tratta di sollecitare la libera espressione di giudizi qualitativi (attraverso questionari e scale di valutazione), i quali poi devono essere presi in esame dagli educatori riflettendo sugli aspetti positivi e sulle aree di criticità; tutto ciò stimola a fornire da parte del nido maggiori prestazioni, al fine di migliorare qualitativamente il servizio svolto.
La qualità dell'integrazione scolastica mira al miglioramento delle competenze metodologiche degli educatori e alla pianificazione di progetti di alta qualità finalizzati all'integrazione di bambini con diversabilità.
Fra la qualità dei processi di integrazione e la qualità totale del nido esiste quindi un rapporto di mutua influenza: solo una struttura di alto livello, infatti, può favorire esperienze realmente inclusive per bambini con bisogni educativi speciali.
1Cottini Lucio, Didattica speciale e integrazione scolastica, Roma, Carocci editore, 2005, p.271

mercoledì

LA GRIGLIA DI RILEVAZIONE DEL DISAGIO

Il nido e la scuola dell'infanzia si avvalgono di strumenti di rilevazione per poter rendere più concreto il tema del disagio infantile, un fenomeno troppo spesso latente a livello sociale e istituzionale.
Vengono utilizzati metodi di rilevazione quantitativa e qualitativa per avere maggiori informazioni riguardo a questo fenomeno in continua crescita; ne è un esempio la griglia di rilevazione ideata e utilizzata per una ricerca-azione organizzata dall'IPRASE del Trentino (Istituto Provinciale per la Ricerca e la Sperimentazione Educativi). Tale griglia (vedi tab.1) è stata creata per poter osservare le varie tipologie di disagio presso la scuola dell'infanzia, applicabile anche per il nido, con l'obiettivo di ideare e progettare una ricerca-azione per prevenire e contrastare questo fenomeno e potenziare le buone pratiche.
In concreto gli educatori devono discutere e condividere tra loro quale punteggio dare a ogni bambino della propria sezione in ogni singola voce della griglia nella parte contraddistinta dalla parola “importanza” ( lo zero equivale a nessun disagio, il cinque equivale a disagio grave).
Allo stesso modo, gli educatori sono invitati a compilare autonomamente una seconda parte, la quale indaga sulla capacità effettiva del professionista di rispondere adeguatamente alle difficoltà poste dal bambino: parte denominata “fattibilità” (lo zero equivale all'incapacità d'agire mentre il cinque equivale al pieno possesso di tale competenza).



























Tab.1 Griglia di rilevazione del disagio nella scuola dell'infanzia 8
Nome bambino__________________ Sezione______________ Codice___________
Tipo di problema
Importanza
Fattibilità
Contenitori Istituzionali
1.Difficoltà di separazione dai familiari e di entrata alla scuola dell'infanzia
0 1 2 3 4 5
0 1 2 3 4 5
2.Vissuto di “lutto” permanente
0 1 2 3 4 5
0 1 2 3 4 5
3.Sintomi psicosomatici
0 1 2 3 4 5
0 1 2 3 4 5
4.Attraversamento iperattivo o blocco motorio
0 1 2 3 4 5
0 1 2 3 4 5
5.Rifiuto del cibo
0 1 2 3 4 5
0 1 2 3 4 5
6.Difficoltà di addormentamento
0 1 2 3 4 5
0 1 2 3 4 5
7.Difficoltà nell'utilizzo del gabinetto
0 1 2 3 4 5
0 1 2 3 4 5
8.Ricongiungimento molto difficoltoso
0 1 2 3 4 5
0 1 2 3 4 5
Contenitori Didattici
9.Rifiuto della consegna
0 1 2 3 4 5
0 1 2 3 4 5
10.Non sono capace
0 1 2 3 4 5
0 1 2 3 4 5
11.Esigenza di rapporto privilegiato
0 1 2 3 4 5
0 1 2 3 4 5
12.Reazione esagerata davanti all'insuccesso o al richiamo dell'insegnante
0 1 2 3 4 5
0 1 2 3 4 5
13.Difficoltà obiettive di tipo disprassico
0 1 2 3 4 5
0 1 2 3 4 5
14.Difficoltà di tipo linguistico
0 1 2 3 4 5
0 1 2 3 4 5
Contenitori Liberi
15.Gioco disorganizzato
0 1 2 3 4 5
0 1 2 3 4 5
16.Gioco esplosivo
0 1 2 3 4 5
0 1 2 3 4 5
17.Gioco frammentato
0 1 2 3 4 5
0 1 2 3 4 5
18.Inibizioni
0 1 2 3 4 5
0 1 2 3 4 5
Rapporti scuola famiglia
19.Contrasti scuola famiglia
0 1 2 3 4 5
0 1 2 3 4 5
20.Altro (specificare)
0 1 2 3 4 5
0 1 2 3 4 5
Mediante questa tipologia di griglia è possibile rilevare dati quantitativi e qualitativi, utili agli educatori per conoscere uno specifico fenomeno, in questo caso il disagio.
Per quanto riguarda i dati quantitativi è possibile analizzare la quantità di sintomi individuali per ogni bambino, e come essi si distribuiscono nel tempo; difatti se tale griglia viene riproposta più volte nel corso dell'anno, è possibile confrontare se tali disagi sono diminuiti o aumentati e in quali occasioni. Mentre per quanto concerne i dati qualitativi, si può indagare quali sono i momenti che generano maggior disagio, o classificare i disagi secondo l'ipotesi sintomatica.
È da precisare che tali indagini, vengono eseguite su un piccolo campione di bambini, e che quindi non rappresentano l'intera popolazione infantile, il loro obiettivo è infatti quello di aiutare gli educatori ad individuare con velocità un disagio fra i propri educandi, e di verificare soprattutto le proprie capacità d'intervento, puntando primariamente sulla prevenzione.
La prevenzione, atto di enorme competenza e responsabilità, è da attuare nei processi che stanno alla base della crescita infantile come l'autonomia e la regolazione emotiva.
Di conseguenza un'attività che si pone un chiaro obiettivo preventivo allo scopo di contrastare il disagio infantile, deve mirare in modo netto ed efficace verso questi temi.
L'autonomia è alla base di qualsiasi processo evolutivo, essa viene fatta imparare ai bambini sin dalla tenera età, ed è considerata come una conquista estremamente importante. Le prime capacità d'autonomia riguardano la cura del proprio corpo e delle proprie cose, con lo scopo, di svilupparne altre come l'autonomia di muoversi nello spazio con sicurezza e giocare con autodeterminazione.
Se l'educatore riesce a far sviluppare nel bambino una solida autonomia e uno stabile Io interno, si attua un'adeguata prevenzione nei confronti di tipologie di disagio come il distacco parentale o la disorganizzazione del gioco libero.
Un'altra forma di prevenzione può essere attuata mediante attività volte ad aiutare il bambino nella regolazione emotiva, in particolare nella regolazione del proprio comportamento e di processi psicologici o affettivi.
Essere in grado di gestire in maniera autonoma e corretta l'intensità del vissuto emotivo nei vari contesti risulta un atto preventivo nei confronti di disagi come: l'attraversamento iperattivo, le reazioni esagerate dinanzi ad un richiamo oppure l'inibizione o il gioco disorganizzato.
Ciò può verificarsi solo se l'educatore aiuta il bambino a gestire nel migliore dei modi l'intensità del vissuto emotivo, in base alle sue capacità, e attraverso l'organizzazione dei giochi.
Come più volte si è ripetuto, per poter intervenire in maniera adeguata ed attenta l'educatore e l'adulto in genere, deve conoscere al meglio ciò di cui si sta occupando.
Per prima cosa, egli deve indagare con serietà e precisione il nodo del problema, che nel nostro caso equivale ad una difficoltà, un disagio o un problema del bambino, solo così sarà possibile svolgere un intervento d'azione efficace e duraturo.
Per questo motivo, nel prossimo capitolo si affronterà la realizzazione ideale di un progetto educativo specifico, analizzando la programmazione in ogni sua parte, dall'individuazione del problema, alle strategie d'intervento, evidenziando la valenza dell'osservazione e della valutazione dell'educatore come capacità indispensabile perché tutto ciò si possa realizzare.
8M.L.Pollam, adAgio: una ricerca-azione per rispondere al disagio nella scuola dell'infanzia e nella scuola primaria, Edizioni IPRASE del Trentino, 2007

giovedì

LA DIDATTICA SPECIALE E D'INTEGRAZIONE AL NIDO D'INFANZIA

Al nido d'infanzia, gli educatori si avvalgono della didattica speciale per affrontare in maniera responsabile e concreta realtà difficili, attraverso l'utilizzo di programmazioni educative mirate. Tali programmazioni, che affronteremo in maniera specifica in un altro capitolo, si strutturano in base alle esigenze del bambino e della sua famiglia, con il fine di migliorare o addirittura superare una particolare difficoltà.
Prima di poter pianificare, progettare ed attuare tale programma, l'educatore deve conoscere il bambino e la sua famiglia e favorire il suo inserimento e la sua integrazione al nido.
Questi due termini, spesso vengono utilizzati come sinonimi, ma in realtà indicano due capacità ben distinte.
L'inserimento riguarda la capacità del bambino di adeguarsi al contesto del nido, ovvero di recarsi periodicamente alla struttura e adattarsi alla sua routine, imparando a separarsi parzialmente dai genitori.
L'integrazione, invece, è la capacità del bambino di integrarsi completamente al nido, ovvero d' instaurare rapporti solidi e duraturi con gli educatori e con il proprio gruppo di coetanei.
Frequentemente accade che il bambino speciale affronti un buon inserimento, ma che poi non sia in grado di integrarsi a causa del suo disagio o deficit, e non riesca ad instaurare relazioni di alcun genere con gli educatori e sopratutto con il gruppo dei pari.
La didattica speciale si occupa anche di questo problema: l'integrazione.
Favorire l'integrazione di un bambino speciale, è uno sforzo che l'educatore deve compiere, per poi dar via ad un progetto educativo specifico; difatti se il bambino non riesce ad instaurare un rapporto di fiducia con il proprio educatore, non potrà mai accettare il piano personalizzato che gli verrà offerto da quest'ultimo.
La didattica speciale dell'integrazione ricerca strategie e metodi per avvicinare il bambino in difficoltà agli educatori (che al nido sostituisco i caregiver di riferimento) e di creare legami forti con gli altri bambini del nido; ciò risulta favorevole non solo per il bambino speciale che riesce a considerarsi parte di un gruppo, ma anche per gli altri bambini che lo riconoscono e lo rispettano come tale nella sua diversità.

IL PROGETTO, LA PROGRAMMAZIONE EDUCATIVA

Un progetto educativo esplicita un' intenzionalità che si vuole concretizzare, per raggiungere risultati visibili, in un preciso arco temporale e in base a precise scelte operative. Tale capacità di concretizzazione avviene mediante la programmazione, che definisce elementi e fasi della stessa progettazione entro un periodo di tempo ben definito.
Si può quindi affermare che la progettazione rappresenta l'ideazione di qualcosa, orientandosi verso un risultato e presentando elementi di incertezza; mentre la programmazione rappresenta la realizzazione concreta della progettazione attraverso l' annullamento degli elementi d'incertezza e un piano di lavoro definito che punta ad un risultato reale.
In ambito educativo, in particolare al nido, progettare e programmare sono due capacità che l'educatore deve assolutamente possedere per il raggiungimento di finalità educative nei confronti dei bambini.
L'educatore, per sviluppare un buon progetto assieme ai colleghi, deve tener conto di tutte le fasi di ideazione progettuale:
  • Precisare le intenzionalità progettuali (cosa si vuole realizzare)
  • Esplicitare finalità e bisogni (perché si vuole realizzare)
  • Enucleare gli obiettivi e i risultati attesi ( che cosa ci si aspetta)
  • Delimitare l'ambiente (dove si vuole realizzare)
  • Indicare gli attori coinvolti (con chi si vuole realizzare)
  • Definire le fasi delle azioni (come si vuole realizzare)
  • Stimare i tempi ( durata del progetto)
  • Individuare le risorse necessarie (con che mezzi si vuole realizzare)
  • Analizzare la fattibilità (se si può realizzare)
Questa fase ideativa si manifesta attraverso la programmazione, che rappresenta il fulcro del progetto educativo, poiché in questa fase si va a concretizzare tutto ciò che precedentemente era stato solo pensato.
Il momento di realizzazione del programma è detto attuazione. In questa terza fase, la programmazione si realizza nella sua piena totalità, le idee si trasformano in realtà, proprio per andare ad influire concretamente sulla vita stessa del bambino.
L'educatore durante questa fase ha il compito di monitorare e controllare quanto si realizza, confrontando i risultati attesi con i risultati ottenuti, con lo scopo di apportare, dove necessario, modifiche o cambiamenti.
La chiusura del progetto è detta rendicontazione, in questa ultima fase, l'educatore deve accertarsi dei traguardi raggiunti in rapporto a quelli programmati. Egli in parole povere, tira le somme del lavoro svolto, e ne esamina l'utilità e la possibile ripetitività.
Dopo aver analizzato le varie fasi che compongono il progetto educativo, è di fondamentale importanza soffermarsi nuovamente sulla programmazione e sui suoi diversi ruoli all'interno del nido d'infanzia.
La programmazione rappresenta l'espressione della libertà degli educatori di adattare le attività e gli obiettivi educativi in base alle esigenze dei bambini e del contesto. Difatti si presenta aperta, duttile e disponibile alla revisione proprio per migliorare gli esiti dell'apprendimento.
La programmazione educativa si riferisce al complesso delle scelte e delle decisioni che vengono assunte dal team di educatori in merito all'impostazione del lavoro educativo ed ha lo scopo di garantire il processo d'insegnamento e di coordinare i diversi itinerari disciplinari nella medesima struttura. In questa ottica, la programmazione educativa diventa uno strumento utile per assicurare all'insegnamento e all'apprendimento una consequenzialità logica e operativa.
Una volta stabilite le finalità educative attraverso la programmazione educativa, subentra la programmazione curricolare ovvero l'organizzazione di persone, tempi, luoghi, risorse e procedure per disporre percorsi concreti di messa in pratica di quanto il nido ha progettato dal punto di vista educativo.
Il personale educativo sarà dunque impegnato ad elaborare, secondo una precisa logica, le varie situazioni d'apprendimento (attività, giochi, laboratori ecc.) assumendo il ruolo di produttori di programmazione, mettendo in campo tutte le loro risorse e le loro capacità.